'Il giardino era silenzioso, fresco, pieno di ombre scure. Da lontano, da molto lontano, giungeva il gracidio delle rane. Maggio, caro maggio! Si respirava a pieni polmoni, si aveva la sensazione che non qui, ma da qualche altra parte, lontano dalla città, nei campi e nei boschi la primavera aveva cominciato la sua vita segreta, magnifica, fertile, sacra, inaccessibile alla comprensione dell’essere umano. Veniva voglia, chissà perché, di piangere.  (p 307)

 

 

Nadja aveva già ventitré anni, dall’età di sedici sognava ardentemente il matrimonio e ora, finalmente, si era fidanzata con Andrej Andreič, quello stesso che vedeva di là dalla finestra; lui le piaceva, il matrimonio era fissato per il sette di luglio, ma non era felice, non dormiva di notte, l'allegria di una volta era scomparsa...
..
Chissà perché, le sembrava che ormai non si potesse cambiare più nulla, che tutto sarebbe rimasto uguale come ora, per tutta la vita, senza un cambio, senza una fine.

 

(p 308)

 

 

Qualcuno uscì sul terrazzino: era Aleksandr Timofeič, o più semplicemente Saša, un ospite arrivato da mosca dieci giorni prima. La madre di Saša, Mar'ja Pёtrovna, nobile decaduta, vedova, piccola, magrolina, malata, era una lontana parente della nonna e veniva di tanto in tanto a chiedere qualche sussidio. Alla morte della madre, poiché si diceva che Saša fosse un ottimo pittore, la nonna decise di mandarlo a studiare a Mosca. Iscrittosi a una scuola di pittura, la frequentò per quasi quindici anni, ottenne con fatica un diploma della sezione di architettura, ma di architettura non si occupò mai, trovò invece lavoro in una litografia. Era molto malato: quasi ogni estate veniva dalla nonna a curarsi e riposarsi.

Indossava una finanziera abbottnata, un paio di pantaloni di tela grezza, con gli orli consunti, una camicia non stirata: a guardarlo, aveva proprio un'aria malandata. Molto magrao, scuro, grande barba, grandi occhi, dita lunghe, sottili: nonostante tutto, un bel tipo. Dagli Šumin  si sentiva come un parente, come a casa sua. La camera dove stava, tutti la chiamavano “la camera di Saša“. (p 309)


 

- Sto guardando mia madre – disse Nadja - ..

- Sì, è vero... – acconsentì Saša. – A suo modo, è una donna buona e cara, ma... come dire? Questa mattina presto sono passato in cucina: c'erano quattro domestiche che dormivano per terra. Niente letti, solo stracci, puzza, pulci, scarafaggi... Esattamente come vent'anni fa, niente è cambiato.
La nonna, Dio la benedica, ha la sua età, ma sua madre è colta, parla il francese, si occupa di teatro. Dovrebbe capire certe cose.
Quando parlava, Saša allungava davanti al suo interlocutore due dita lunghe e ossute.

- Stare qui da voi mi fa uno strano effetto, non ci sono abituato, - continuò. – Accidenti, ma com’è possibile che nessuno qui faccia mai niente? Sua madre non fa che passeggiare come una principessa, sua nonna, lei, perfino il suo fidanzato Andrej Andreič, state tutto il giorno con le mani in mano.

Nadja aveva sentito le stesse cose l'anno prima, due anni prima, sapeva che Saša non poteva non ragionare che in quel modo, di solito la divertiva, ma quella sera, per qualche ragione, si indispettì.
 

..

 

Saša si mise a ridere, si alzò anche lui e si avviarono insieme verso casa. Alta, bella, slanciata, accanto a lui Nadja sembrava l'incarnazione dell'eleganza e della salute: lei lo capiva, si sentiva a disagio, provava pena per lui.
- Ogni tanto lei dice cose a vanvera, - disse Nadja. – Perché ha parlato del mio Andrej se non lo conosce?
- Il mio Andrej... Se lo tenga da conto, il suo Andrej! A me dispiace solo per lei, per la sua giovinezza sprecata.


(p 309-310)

 

 

 

Quando Nadja si svegliò, dovevano essere circa le due del mattino: stava per albeggiare. Da lontano si sentivano i colpi del guardiano notturno. Non aveva più sonno, il letto era troppo molle, scomodo. Come era già successo in altre notti di quel mese di maggio, si mise a sedere sul letto e cominciò a pensare. I pensieri erano sempre gli stessi, inutili, ossessivi: come Andrej Andreič le avesse fatto la corte e la dichiarazione, come lei avesse accettato e avesse cominciato ad apprezzare quell’uomo intelligente e buono. Ma per qualche ragione, ora che mancava meno di un mese al matrimonio, si sentiva inquieta, angosciata, come se l’aspettasse qualcosa di penoso e di incerto’

 

“Tic-toc, tic-toc…” batteva pigramente il guardiano notturno. “Tic-toc…”


..

 

- Dio mio, perché mi sento così angosciata?

Forse succedeva la stessa cosa ad ogni fidanzata prima del matrimonio. Chi lo sa? O erano le parole di Saša? Ma erano anni che Saša le ripeteva, identiche come un libro stampato, e a lei erano sempre sembrate ingenue, strambe. Ma perché non le uscivano dalla testa? Perché?

 

Il guardiano da tempo non batteva più. Sotto la finestra, nel giardino, gli uccelli cinguettavano, la nebbia se n'era andata, e d'un tratto tutto si era illuminato di luce primaverile, come in un gran sorriso. Tutta la natura, riscaldata, accarezzata dal sole, si stava risvegliando, gocce di rugiada, come brillanti, scintillavano sulle foglie: il vecchio giardino, da tempo trascurato, quel mattino sembrava ringiovanito, risplendente.

.. Saša tossiva con la sua voce di basso.

 
(p 314)

 

 

‘Cara Nadja, Saša cominciò il suo solito discorso di dopopranzo, - se mi desse ascolto!
Nadja era sprofonodata in una vecchia poltrona ad occhi chiusi e Saša camminava lentamente per la stanza.
- Perché non si mette a studiare? – disse. Solo le persone colte sono interessanti, necessarie.
Più ce ne saranno, più presto si realizzerà il regno di Dio in terra, e allora della vostra città non rimarrà pietra su pietra, tutto sparirà, tutto si dileguerà come per incanto, e sorgeranno al suo posto palazzi grandiosi, giardini stupendi, fontane fantastiche, e ovunque ci saranno persone straordinarie.. Ma non è questo l’importante. L’importante è che non esisterà più la massa intruppata come la vediamo noi oggi, ogni singolo individuo saprà in che cosa credere e a che cosa aspirare. Vada via di qui, la prego, vada via! Dimostri a tutti che non ne può più di questa vita stagnante, grigia, viziosa. Lo dimostri almeno a se stessa!’

 

- Non posso, Saša. Sto per sposarmi.

- Ma mi faccia il piacere! Che senso ha?

Uscirono in giardino e si misero a passeggiare.
- Comunque sia, cara Nadja, non può non rendersi conto di quanto scandaloso, quanto immorale sia il vostro modo di vivere, - continuò Saša. – Se lei, sua madre, la sua cara nonnina non fate niente tutto il giorno, vuol dire che qualcun altro deve lavorare per voi, e che voi sfruttate, consumate la vita altrui. Non è indecente, non è vergognoso?
Nadja voleva dire: “Sì, è vero“, voleva dire che capiva, ma le vennero le lacrime agli occhi, tacque d'un tratto, si rinchiuse in se stessa e se ne andò in camera.

(p 316)

 

- Amore mio, tesoro! – mormorò. – Sono felice! Sono pazzo di gioia!
A lei sembrarono parole già sentite molto, molto tempo prima, o forse lette chissà dove, in qualche vecchio romanzo sgualcito, da tempo buttato via.
 

 

Anche Saša non dormiva, al piano di sotto. Lo si sentiva tossire. Che persona strana, ingenua, incoerente, pensava Nadja, con tutti i suoi sogni di splendidi giardini, incredibili fontane: eppure nella sua ingenuità, nella sua incoerenza c'era qualcosa di appassionante. E alla sola prospettiva di mettersi a studiare, il cuore le si riempì di gioia, di entusiasmo.

- Ma è meglio non pensarci, meglio non pensarci... – mormorò. Sì, è meglio.
“Tic-toc... „ – si udivano in lontananza i colpi del guardiano. “Tic-toc... tic-toc...„
 

‘Nadja aveva l’impressione che al piano di sotto qualcuno suonasse il violino’


- Io voglio vivere! Vivere!

 

 

- Domani io parto – disse Saša, dopo aver riflettuto, - venga con me alla stazione… metterò le sue cose nella mia valigia, il biglietto glielo compro io…
(..) Mi accompagnerà fino a Mosca, poi proseguirà fino a Pietroburgo. (..)

Dia una svolta alla sua vita e tutto cambierà. L’importante è dare una svolta alla propria vita, tutto il resto non serve. Allora, domani partiamo?
(..)
A Nadja sembrava di essere agitata, oppressa come non mai, di dover affrontare, prima della partenza, momenti faticosi, pensieri penosi; ma appena arrivata di sopra nella sua stanza, si distese, si addormentò e dormì profondamente fino a sera, con il viso arrossato dal pianto e con un sorriso.

(p 326)

 

 

Nadja capì: e un presentimento simile a una certezza si impadronì di lei. Le dispiaceva che quel presentimento e quei pensieri su Saša non la agitassero come prima. Aveva una terribile voglia di vivere, di tornare a Pietroburgo e il legame con Saša era ormai un ricordo, caro ma lontano, lontano! (..)

 

(..) Si rendeva conto che la sua vita aveva avuto una svolta, come voleva Saša, e che ora in quella casa era sola, estranea, inutile (..)

“Addio, Saša!“ pensò, e davanti a lei si profilava una vita nuova, vasta, spaziosa e quella vita, ancora confusa, ancora misteriosa, la attirava, la invitava.


(..) abbandonò per sempre, o almeno così credeva, la sua citta.


 



 

(Anton Cechov, La fidanzata, 1903, in Racconti, La biblioteca di Repubblica)