di Andersen..

 

Per sedici anni ho insegnato il danese all’Università di Roma e il mio ricordo più bello è quello dell’entusiasmo degli allievi a “riscoprire” Andersen, leggendolo nella lingua originale, e penetrando quell’ambiente danese da cui egli è uscito, e poi via via approfondendosi nella conoscenza della sua personalità attraverso le memorie sue e le più sottili e pazienti indagini della critica dell’ultimo cinquantennio.
Andersen stesso dice delle sue fiabe: “Mi stavano nella mente come un granello, ci voleva soltanto un soffio di vento, un raggio di sole, una goccia d’erba amara, ed esse sbocciavano”. E ogni fiaba ci diventa più cara quando ne conosciamo la genesi creativa,  quando sappiamo del Brutto anatroccolo come nacque e come maturò, da quel giorno in cui Andersen,   triste dopo un insuccesso teatrale, vagando per le dipendenze del castello dov’era ospite, scorse un uovo d’anatra covato da una gallina e cominciò la Storia di un’anatra, fino al momento in cui, pieno di giubilio per la festosa accoglienza in un altro castello, tramuta l’anatra in cigno e tutto finisce col volo vittorioso del maestoso uccello.
Andersen, viaggiatore instancabile, ospite delle corti europee, dei nobili castelli danesi, uccello migratore mai sazio di becchime esotico, si nutrì di tutte le letterature e di tutti i paesaggi, e tuttavia, pur tra le sue molte peregrinazioni, è tutt’altro che un déraciné. Rivivono nei suoi libri i vari aspetti dei paesi da lui visitati: la Spagna, l’Italia (quell’Italia romantica che egli, col romanzo L’improvvisatore, contribuì, forse ancor più della Mme de Staël di Corinne, a render popolare in Europa), la Svizzera, la Scozia, l’Oriente; ma le radici della sua poesia sono nella terra danese, egli è forse il più danese di tutti gli scrittori. In fondo al cuore egli serberà sempre il mondo della sua infanzia: l’immagine della madre povera, il piccolo giardino di cipolle e prezzemolo sul tetto che vediamo rifiorire nella Regina della neve. Negli ambienti aristocratici che la celebrità gli dischiude, non si scordò mai delle proprie origini popolane, e pur essendo un assiduo lettore della favolistica mondiale, fonte di tutta la sua poesia restò sempre quel mondo fantastico che gli si rivelò quando, bambino, ascoltava, nelle lunghe veglie, i racconti della povera gente. La grandezza e l’originalità di Andersen derivano in gran parte dalla sua fede; in quel mondo di fantasmi che esprimono gli spaventi e le speranze della vita, lui,  come la semplice gente del popolo, crede e crea.
La lingua di Andersen rispecchia con grazia i tratti più genuini della mentalità danese. Grande scandalo vi fu tra i severi critici accademici e anche tra i suoi ammiratori e amici, quando Andersen osò introdurre nella letteratura la lingua parlata. E fu, effettivamente, una rivoluzione. In un certo senso, Andersen è il primo degli scrittori impressionisti. Spesso, trascurando la sintassi, egli lascia parlare voci e suoni sconnessi. Ma in mezzo a quel frastuono si ode, simile a un canto, la parola profonda dell’anima danese, quella modesta filosofia popolana che si chiama il lune danese, che non è l’ironia francese, né l’humor inglese, né il Gemut tedesco.  E’ un complesso indefinibile di bonarietà, di modestia, di allegria, di monelleria, d’ingenua finezza popolana, di serenità nelle sorti avverse, caratteristico di quel piccolo paese di pianure, senza profili pronunciati,  dove il colore quasi non esiste, ma dominano le sfumature.
Dare un poco dell’accento danese alla traduzione delle fiabe, è stata l’aspirazione delle due traduttrici. Se la loro fatica contribuirà a rendere più popolare in Italia H.C. Andersen, ne sarò infinitamente felice, essendo, anch’esse, tra quei miei allievi cui accennavo all’inizio. Così mi sembrerà di aver pagato una piccola parte di quel debito che ho verso l’Italia dove ho avuto come una seconda nascita. Poiché Andersen non è soltanto un grande incantatore, ma è anche un grande savio, la cui filosofia può molto giovare al nostro tempo. Non sbagliò Tagore, quando visitando le scuole danesi, disse: “Perché avete tante materie? Basterebbe una sola: Andersen”.
 

Knud Ferlov
Roma,     4 agosto 1954


prefazione a Fiabe,  Andersen,  Edizione Cde