Mickiewicz

 

Nei campi, il concerto della sera cominciava appena; i musicanti finivano di accordare i loro strumenti; di già la beccaccina, primo violino dei campi,  aveva gridato per tre volte e da lontano, nei paduli, il basso dell’anitrone gli rispondeva, e la beccaccia, slanciandosi al cielo, chiamava e batteva la misura, come un timballiere col suo tamburino.
Come finale di tutti i mormorii degli insetti e di tutta la musica degli uccelli, si sentì un doppio coro in due vicini stagni, simili ai laghi incantati del monte Caucaso, che tacciono il giorno e cantano la sera; l’uno, dalle acque limpide, dalle rive sabbiose, lasciava sfuggire dal suo seno azzurro, un sospiro calmo e solenne;  l’altro, dal fondo pantanoso e dalle gore palustri, gli rispondeva con un grido tristemente appassionato. In ambidue gracchiava una innumerevole famiglia di rane; i due cori cantavano gli stessi accordi; ma l’uno in tono maggiore, l’altro in tono minore; l’uno fortissimo, l’altro a mezza voce; l’uno pareva si lamentasse, l’altro soltanto compiangesse.
Questi stagni si parlavano attraverso i campi come due arpe collocate l’una in faccia all’altra.
Il crepuscolo si addensava;  soltanto nei boschi, in riva ai ruscelli, si vedevano risplendere in mezzo ai pruni gli occhi del lupo, come due candele accese; e più lontano, dove l’orizzonte si curvava, rosseggiava qualche fuoco di pastori. Infine, la luna sorse colla sua lampa d’argento, e si alzò nella foresta rischiarando il cielo e la terra, che mezzo velati, sonnecchiavano l’uno presso all’altra come due sposi felici. Il cielo accarezzava colle sue braccia immacolate il seno della terra, inargentato dai raggi della luna.
Dalla parte opposta si vedeva apparire una stella, poi un’altra e tosto delle migliaia che scintillavano nella volta azzurra. Alla lor testa brillavano Castore e Polluce, chiamate Lel e Polel dagli antichi Slavi; oggi, nello zodiaco popolare, sono in altro modo battezzati: l’uno si chiama la Corona, l’altro la Lituania.
Più lontano splendevano i due piatti della Bilancia celeste, sui quali, il giorno della Creazione, dicevano gli antichi, Dio pesò i pianeti e la terra prima di sospenderli sugli abissi degli spazii. Poi attaccò nei cieli la celeste bilancia che ha servito di tipo alle nostre.
Al nord brillava il disco stellato del Vaglio, pel quale, dicono, Dio fece passare le sementi del grano quando lo gettò dal cielo al padre Adamo, cacciato pei suoi peccati dal paradiso terrestre.
Un po’ più in alto vi è il Carro di Davide pronto a correre; il suo gran timone è diretto verso la stella polare. I vecchi Lituani sanno che questo carro è impropriamente chiamato dal popolo il Carro di Davide, perché è il carro degli Angioli. Fu su di esso che Lucifero montò allorchè provocò Dio al combattimento e volle penetrare nei cieli per la Via Lattea. Ma Michele lo precipitò e gettò il carro stesso fuori della strada. Oggi, vuoto e rotto, si trascina frammezzo le stelle; l’arcangelo Michele non permette di ripararlo.
Gli antichi Lituani sanno benissimo, ed io credo l’abbiano imparato dai rabbini, che il Drago dello zodiaco, questo mostro enorme che scorre pei cieli coi suoi anelli di stelle, non è un serpente, come gli astronomi pretendono, ma un pesce; è il Léviatan. Già abitante dei mari, dopo il diluvio, l’acqua, essendosi ritirata, egli morì; e gli angioli hanno sospesa la sua carcassa alla volta celeste, tanto come oggetto di curiosità, che come monumento.
E’ così che il curato di Mir aveva sospeso nella chiesa le costole e le tibie di un gigante fossile.

 

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‒  Signor Tadeusz, ciò che voi ci raccontate intorno alle stele non è che una ripetizione di ciò che avete imparato alla scuola; ma parlando di questo fenomeno amo meglio consultare i contadini. Anch’io, per dieci anni, ho studiato l’astronomia a Vilna, dove la signora Puzynina, questa dama sapiente, quanto ricca, aveva dato le rendite di un villaggio e di duecento contadini per comprare delle lenti e dei telescopi.  Il celebre abate Poczobut era allora incaricato di fare le osservazioni, ed era nello stesso tempo rettore dell’Università; e nonpertanto ha messo da parte i suoi  telescopi e la sua sedia, è ritornato nel suo convento, e rientrato nella sua pacifica cella, è morto in modo esemplare. Io conosco anche Sniadecki uomo sapientissimo, benché laico. Ecco gli astronomi! Essi ne sanno tanto su un pianeta, una cometa, quanto un rustico su una carrozza che ha veduto arrivare davanti al palazzo del re. Egli sa da qual porta è uscita dalla città; ma non sa chi vi era dentro, cosa viene a fare, che cosa ha detto al re o se è un messaggero di pace o di guerra.
Non andate a domandarglielo, perché non ne sa nulla. Mi ricordo che ai miei tempi, Branecki (uno dei tre traditori che hanno data la Polonia col complotto di Targowica a Caterina II), partì in carrozza per Jassy. Dietro lui sfilava una coda di confederati di Targowica, come dietro ad una cometa. Benché il popolo non si immischiasse negli affari del governo, indovinò che quella coda pronosticava un gran tradimento. Si dice che il popolo ha dato il nome di scopa a questa cometa e sostiene che scoperà un milione d’uomini.   
 

 

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Che il nostro processo dovesse terminare in un modo inusitato, non lo contesto; ma se ne è visti altri esempi. Mi ricordo dei processi nei quali erano stati commessi maggiori abusi che non nel nostro, e dove l’atto di matrimonio ha tutto conciliato. Tale fu quello di Lopot ci Borzdobohaty, dei Krepsztul  coi Kupsc, dei  Turno coi Kwilecki, ed altri! I Polacchi non hanno avuto contestazioni coi Lituani, contestazioni peggiori di quelle dei Soplica cogli Horeszko? E, nonpertanto, dacché la regina Jadwiga lo volle, questo processo terminò senza giudicato.   E’ bene che l’una delle parti abbia delle ragazze o delle vedove da maritare: un compromesso non si fa aspettare. I processi che vanno maggiormente per le lunghe, sono ordinariamente quelli che si hanno col clero, o coi parenti assai prossimi; perché allora è impossibile terminarli con un matrimonio. Ecco perché la lotta fra i Polacchi e i Russi dura indefinitamente; essi discendono da due fratelli,  Lach e Russ.  Ecco perché i numerosi processi che abbiamo avuto coi monaci dell’ordine teutonico non cessarono che allorché Jagello li guadagnò con la spada alla mano. Ecco perché il processo di Rymsza contro i domenicani, dopo tanto disputare, non terminò allorché l’abate Dymsza, sindaco del convento, ha ottenuto causa vinta, dal quale viene il proverbio: Nostro Signore è più potente che monsignor Rymsza. Ed  io aggiungo che l’idromele val meglio della spada!
E, con queste parole, bevette alla salute del portachiavi.   

 

 

A Mickiewicz,  Tadeus Soplica, Edipem