Kochanowski-frasche

 

Libro primo

I  All’ospite lettore
A proposito di questo libro

Se lo hai in dono e veramente
Non ti costa proprio niente,
Io ti lodo, ospite caro,
Che non sciupi il tuo danaro;
Se hai pagato di tua tasca,
Male hai speso, è solo frasca.


III La vita umana

Tutto quel che pensiamo è solo frasca,
Tutto quel che pregiamo è solo frasca;
Cosa certa non c’è nel mondo umano
E il posseder quello che preme è vano:
Fama, beltà, poter, gloria superba,
Danaro passan come passa l’erba.
Poi che s’è riso assai di nostra sorte,
come pupazzi ci ripone Morte.


V Per Anna

Il cuore mi fuggì, né so che vada
Se non da Anna, tanto lì gli aggrada.
A lei richiesi che mai non accolga
Il fuggitivo e indietro lo rivolga.
Andrò a cercarlo, benché sia periglio
Restarvi anch’io; Venus, dammi consiglio!



XVIII Per una che promette e non mantiene

Credevo che mi fosse poi concesso
Così come con brama era promesso.
Ma delle donne pure il giuramento
Scrivi nell’acqua, scrivilo nel vento.


XL Da Anacreonte

Amando o non amando è dura prova
Amor, sempre molesto;
Ma più grave e funesto
E’ all’amante che mai grazia non trova.
Virtù non conta e gentilezza è frasca:
Amor guarda alla tasca.
Fosse perito l’empio
Che l’avido tesoro
Per primo ha amato e l’oro
E il mondo rovinò con il suo esempio.
Onde contese e stragi; e in più dobbiamo,
Miseri, anche morir di quel che abbiamo.

 

L    Al messo papale

O papale inviato del popolo latino
A noi mostri la strada e tu sbagli cammino.
Meglio del tuo cocchiere scegli la conversione,
Guardati dal condurci ov’è pianto e afflizione.


LXVIII A Stanislao

Se qualcosa tu senti alquanto singolare
Dici che nelle frasche la debbo riportare;
Da tempo, amico mio, se trascrivessi tutto,
La carta avrei finita e il calamaio asciutto.

 

LXXII A Baldassarre

Tu dici, Baldassarre, la testa ti fa male.
La cosa veramente mi pare naturale.
Io stesso t’ho veduto sedere per tante ore
Accanto a un idiotissimo chiarissimo dottore.


LXXXVII Sulle Frasche

Hai qui le frasche buone, le medie e le cattive.
Non si fa tutto il muro di materia pregiata:
Di fuori il matton rosso e la pietra squadrata,
Dentro soltanto pezzi e pietre riempitive.

 

Libro secondo

VI Il tiglio

Tu che sedendo chiedi ristoro alle mie foglie
Riposa, ospite; il sole qui certo non ti coglie,
Neppur quando più in alto i dritti raggi versa
E tira dai miei rami la vaga ombra dispersa.
Qui sempre un venticello fresco dal campo spira
E graziosamente intona la sua lira
Ora lo storno ed ora a gara l’usignolo,
Mentre che dal mio fiore profumato lo stuolo
Operoso delle api sugge il miele, al convito
Dei signori decoro. Io conosco l’invito
Del tranquillo sussurro e prontamente induco
Sull’uomo un sonno molle. Pomi non ne produco,
Ma al mio signor più grato sono e maggior conforto
D’un ceppo fecondissimo nell’esperide orto.


XXV  D’un predicatore

A un tal che predicava gli venne domandato
Perché per loro preti mal s’adegua al parlato
La pratica di vita. Rispose: “Per parlare
Mi pagan cinquecento; se mi volete dare
Almeno mille, certo allora vi prometto
Che metterò  d’accordo insieme il fare e il detto”.


XXIX  Alle frasche

Frasche mie (quelle almeno che conservare vale)
Non voglio che nessuno mai ricordiate in male.
Se le maniere altrui non sono sempre buone,
Mordete pure i vizi, però non le persone.
Vi piaccia alcun lodare, e sia, ma parcamente,
Poiché dalla lusinga rifugge la mia mente.
Ricordate che certi le lodi hanno a dispregio,
Come se loro paresse di non avere pregio.


XXXVII  Al sonno

O Sonno, che alla morte educar sai e il sapore
Sveli dell’altra vita, concedi il tuo sopore.
Resti questa mia spoglia in te del tutto avvolta
E libera sia l’anima, dal mortal peso sciolta.
Vada dove del giorno sorge il primo chiarore,
Dove si spenge a occaso l’ultimo suo bagliore;
Dove per neve e ghiaccio tutta la terra indura
E dove si prosciuga nell’arida  calura.
Le musiche soavi ascolti da vicino
Seguendo in cielo gli astri nel lor vario cammino.
A volontà s’inebri di quel beato canto
E questo corpo giaccia privo di sensi intanto,
Sì che lui, spenta ogni ansia, il non vivere impari
E, nell’oblio di cure, ad esso si prepari.


XLVIII Regole di vita

Cos’è senza gli amici il vivere? Prigione
Che in sé nulla ha di buono e vuota è di ragione.
Dunque se sopraggiunge qualche inatteso bene,
A lungo conservarlo di certo ti conviene.
Non t’aspettar consiglio, pietà non t’aspettare,
Né parlando da savio sentirtene lodare.
E se pure talvolta t’arriderà il successo
Ne gusterai il sapore soltanto con te stesso.
Falsa è la gente, credi, non stare ad ascoltarla:
Innanzi a te, fa lodi; ma dietro di te, sparla.
Nessuno il ver ti dice, nessuno ti dà avviso,
Manco se ti spuntasse un corno in mezzo al viso.
Che Iddio benigno sempre ci guardi da costoro,
E doni più d’amore, anche se meno d’oro.

 

LIII  Ad Andrea

Che mi consigli Andrea? (All’orecchio tuo fido
Del cuore i miei tormenti con sicurezza affido).
Tu stesso puoi vedere che quella veramente
I servigi tutti ritiene men che niente,
Benché sinceri e stabili e riceva da loro
(Se ammetter lo volesse) più stima che disdoro.
Quali doni non detti? Quante rime intrecciai?
E mi vergogno adesso che troppo esagerai.
Paragonai all’aurora il suo roseo incarnato,
Soltanto quel colore di fatto era comprato.
I suoi modi ho esaltato con lode smisurata
Ed or la mia menzogna con falsità è pagata.
Dunque finché arde l’ira nel cuore virulenta
Che l’ingiustizia accese e il dispregio alimenta,
Questi miei lacci a sciogliere vieni tu, salvatore!
Non sai quanto un cuor strugga non corrisposto amore.

 

LXXIII Il piacere

Nessun piacere puro al mondo è stato dato
Ma in ciascuno un sottile veleno è distillato.
Perciò quando t’avviene quello che al cuore è caro,
è sempre accompagnato d’un inatteso amaro.


LXXVII  Ad Anna

Ieri, che t’aspettavo, il desiderio ardente
Volli porre in oblio per calmare la mente
E scrissi improvvisando queste neglette rime,
Ove del cuor deluso tutto il soffrir s’esprime.
Nella mia vana attesa passava il tempo lento.
Cercavo la ragione, contando ogni momento,
Del tuo tardar; or questo ora quel libro aprivo:
Leggere non serviva e nulla ne capivo.
Quando la stanca mano al fin la penna piglia,
“D’un padre veritiero tu menognera figlia…”
Comincio, ma improvviso il sonno ecco mi vinse
 E benevolo insieme ira e speranza estinse.
 

LXXXI  L’improvvisazione

Chi versi improvvisar da me pretenda
Come vengono poi così li prenda.

LXXXV  Alle api

“Ditemi, belle api, se troppo non vi costa,
Che vi porta a una stanza dall’arnia sì discosta?”

 

COV  A un amico

Solo nel sogno vista amò Zariadre Odata
E tanto s’adoprò che alfin l’ebbe sposata.
Egualmente è accaduto, nobile amico mio,
Che ti volli a compagno senza vederti anch’io.

Se fosse proprio in sogno non mi sovviene adesso,
Ma certo pei tuoi scritti mi rimanesti impresso
Più che se di persona sopra le porte apparso
Del sonno eburnee fossi allora che cosparso
Delle rose d’aurora il cielo si ridesta
E il Sole agl’infuocati destrieri il morso appresta.
Di questo sii ben certo che tu sei uno di quelli
Cui auspicando predico giorni felici e belli;
Poiché nodo non c’è che dura più e più tiene
Del vincolo legato dalle belle Camene. *

 

CVI  Il ponte di Varsavia

O d’implacata furia rabida, invan ruggisci
Contro le rive, Vistola, e la strada impedisci.
Re Augusto un artifizio trovò per soggiogarti
E devi alla sua voglia del tutto rassegnarti.
Il tuo dorso indomato senza la braca e il remo
Adesso a piede asciutto tutti traverseremo.


CVII  Dello stesso

Qui per un tempo eterno, su questa sponda lieta,
Polonia e Lituania insieme avranno Dieta.
Colui, che con gran cura a tanto evento intese,
Per togliere ogni ostacolo un ponte anche sospese
Ed imbrigliò la Vistola e il suo ribelle flutto
Con un guado ampio e grande dove cammini asciutto.


CVIII Dello stesso

Adesso il barcarolo non lancia più il suo grido:
“Presto! Prima che il buio renda il traghetto infido”.
In tasca ho un orologio e fino a quando suona
Quello che voglio bere l’oste non lo raziona.
Vai, barcarolo, dormi, non ti curar di me,
Che per il ponte gratis ritorno senza te.


Libro terzo

I  Ai monti e boschi

Eccelse vette e boschi rivestiti di foglie
Vi torno a rivedere e gran gioia mi coglie.
Ricordo gli anni verdi, allor che poca cura
Ancora si dà l’uomo della sorte futura.
Che non è stato poi e che non ho provato?
Con vario corso il mare profondo ho veleggiato.
Ho visitato Francia, Italia ed Alemagna,
A Cuma di Sibilla vidi la grotta magna.
Una volta agli studi tranquilli dedicato,
Un’altra cavaliere alla spada legato.
Oggi coi cortegiani vicino al mio sovrano,
Domani nel capitolo da modesto pievano,
Però non con i monaci di grigio incappucciati
Ma tra quelli che godono di ricchi prebandati
E – perché no? – fors’anche nelle vesti d’abate.
Così soleva Proteo, le forme tramutate,
Apparir drago o fuoco o nube di tempesta.
Che sarà poi? Già  qualche argenteo filo ho intesta;
Non è più tempo a scelte adesso e si conviene
Prender di giorno in giorno tutto quello che viene.

 

VII  Al tiglio

Ospite, osserva come la mia foglia
Già verde inaridì tanto che puoi
Traversarmi col guardo. Saper vuoi
Qual subita cagion sí mi dispoglia?
Non ne hanno colpa il gelo o gli aspri venti
Ma d’un falso poeta i falsi accenti.


XVII  Dei propri versi

Al modo come scrivo il mio vivere è uguale.
Se i miei versi sono ebbri,  io pure amo il boccale.
Non disdegno i conviti, lo scherzo anche mi piace
E , come no, le donne: la carta in ciò è verace.
Ma si può dir ribaldo? Non mi fare il processo,
O prete, guarda prima cosa ascondi in te stesso.


XIV Alla regina

Mia diletta regina (che così ti si chiama),
Poiché non m’è concesso, come pure è mia brama,
Di parlare con te, mi devo rassegnare
A inviar questo scritto; voglio solo sperare
Che il desiderio ardente benignamente accolga.
O tu felice carta! Il tuo sigillo sciolga
La delicata mano. Rimirandoti poi
Con l’occhio suo gentile, chi sa se quel che noi
Vanamente attendiamo ti doni, o fortunata,
E di baci t’imprima la sua bocca rosata.
O se potesse l’uomo con arte di magia
Tramutare se stesso nel dono che egli invia!


XXIX  Alle frasche


O frasche mie care, né certo assai pagate,
Che tutti i miei segreti pensieri riportate,
Sia quando la Fortuna benigna è a me d’appresso,
Sia quando è a me contraria, come m’accade spesso.
Persona incontrerete talmente diligente
Che voglia in voi scoprire la mia nascosta mente?
Ditegli pur che invano si frastorna la testa
Tanto di strani intrighi è l’opera contesta,
Né alcuna Arianna il filo indietro non riporta
Chi avventura il suo corso per quella via contorta.
Si ricordi l’artefice, che il Labirinto ha ordito
Affinché il Minotauro vi fosse custodito:
Lui stesso per sortire non ritrovò la via
Ma, aggiunge piume al dorso, in alto volò via.


XXXIX  Alle frasche

Qui  la frasca leggera con la più seria è mista
E chi dunque di questa nel legger si contrista
Scelga la parte sua e lasci agli altri il resto,
Però che quello all’uno piace ed all’altro questo.
Come un ricco mercante che ha un fondaco imponente
Espongo merce adatta a qualunque cliente:
Spille italiane,  bisso e fini seterie,
Ma pure mezze sete e le chincaglierie.


XLV  A Stanislao
 

Chi beve fino a notte, o Stanislao mio caro,
Certo che del suo tempo non deve essere avaro;
Chi cura il suo benessere a letto deve andare
All’ora conveniente, non stare a folleggiare.

XLII  A Sofia


 Sofia, non sei tu quella, di cui nella mia vita
Per sette anni nel cuore l’immagine ho nutrita.
Era bella, aggraziata e giusta e conveniente
Ogni maniera in lei, sempre piacevolmente.
 Spiritosa allo scherzo, se mai rimproverava
Una gran mansuetudine a tutti dimostrava.
Dir chi tu sia non so; hai una mente balzana ,
L’aspetto un po’ lunatico, la voce appena umana;
Ai tuoi scherzi nessuno fa caso o bada all’ira
E se dici qualcosa c’è sempre chi s’adira.
Di quella che eri, insomma, ti resta solamente
Il nome; dunque cambialo, mi pare conveniente.
Tempo invidioso! Gli anni tutto portano via.
Sei passato e ora, vedi, Sofia non è Sofia.

 

L   All’ospite

Ospite, hai cominciato, va’ in fondo alla lettura
E quando non capisci non domandar la chiosa.
C’è nel discorso parte che vuol restare ascosa
Difficile a chi ascolta, per chi la dice oscura.

 

LIV  Alla salute


L’uomo, o Salute, non è cosciente
Di quanto vali se non sei assente.
Soltanto allora per certo prova
Che di te meglio nulla gli giova.
Perché i possessi, le gemme e gli ori,
Età, bellezza, potere, onori,
Son cose tutte di cui s’allegra
L’uomo soltanto se tu sei intègra.
Preziosa e cara, prescegli questa,
A te devota, casa modesta.

LXXII  Preghiera per la pioggia


Dispensatore eterno d’ogni bene, ti prega
La terra arsa dal sole, la triste erba che piega
Arida, l’aratore e l’assetato grano.
Dense nuvole stringi nella tua santa mano,
Disseta il suolo asciutto e le piante bruciate.
Tu che da dure rocce disciogli inaspettate
Fonti, svela i tuoi doni! Mandaci la rugiada
Notturna e i fiumi inquieti lascia che l’acqua invada.
Sazia del mar gli abissi avidi onde ristora
Ogni stella sua fiamma e l’infuocata aurora.
Tu comandi – ed in tutto il mondo l’acqua affiuma;
Tu comandi – e ogni cosa va in fiamme come piuma.

 

LXXVII  A Wolski

Lungi da noi vai dunque, Gladifero mio amato!
A, se a mer pur benigno si fosse volto il fato,
Adesso sarei stato compagno al suo partire;
Né sarebbe mancato in animo l’ardire
D’andar fino alla Colchide, le Simpledi affrontando,
Tra cui passò Giasone la nave sua rischiando.
Avrei sicuro corso, starosta, a te vicino
Le vie diverse e varie d’Ulissse peregrino.
La Tracia ed i Lotofagi, i Ciclopi cui vale
Un occhio sol, la corte di Eolo ospitale,
Antifane e la maga che con la sua mistura
In porci, bovi e cani gli uomini disfigura.
Averno, le Sirene, Scilla, dal ventre vasto
Cariddi, i buoi del sole – ahimè – funesto pasto.
Del mar le ninfe e in fine tiranni onnipotenti:
Sopportare è assai facile con te tutti gli eventi.
Ma una donna dolente, che al nome di viaggio
Impallidisce e piange, a me toglie coraggio.
Più non penso affrontare spade nell’ombra oscura
Né a scacchi con Sibilla tentare la ventura.
Abbi buon tempo dunque e, me lasciato, vai;
Poi, quando a tuo piacere il mondo visto avrai,
Torna famoso e forte nella Polonia nostra
E a tutti dell’avita virtù l’esempio mostra.
 

LXXXI  La saggezza


Non è saggezza saggio essere e con l’ingegno
Abbracciar del creato volere il vasto regno:
Breve è la vita. Ad alti fini volger la mente
O cogliere il momento è insano parimente.


LXXXIV  Su d’una colonna di pietra

C’è qualcosa nel mondo (chi vuol può investigare)
Che con la umana mente non si può distrigare.
Non pare forse logico che al bene il ben risponda
E chi fa sempre il male, il male lo confonda?
Eppur si sbaglia in questo e con tale frequenza
Che molti sono scossi nel cuore e la coscienza.
Sia dunque il viver pio, alla virtù ispirato,
Che nella varia sorte ha pregio inalterato. 

 

 

Jan Kochanowski,  Frasche, Biblioteca universale Rizzoli,  1995